Salvo il posto di lavoro del dipendente che con un video social esprime noia e insoddisfazione per le proprie mansioni

Per i giudici, chiamati a prendere in esame la condotta tenuta da una commessa di un negozio capitolino, è evidente la non gravità della pubblicazione di un breve video di pochi minuti diretto a palesare la noia, la stanchezza e l’insofferenza avvertite durante la settimana lavorativa

Salvo il posto di lavoro del dipendente che con un video social esprime noia e insoddisfazione per le proprie mansioni

Niente licenziamento a fronte di un video su ‘TikTok’ cui il dipendente esprime noia e insoddisfazione per l’attività lavorativa. Questa la decisione dei giudici (ordinanza numero 20310 del 20 luglio 2025 della Cassazione) a chiusura del contenzioso originato dalla condotta tenuta on line da una commessa di un negozio della Capitale.
In generale, il licenziamento disciplinare per violazione degli obblighi di condotta conforme ai doveri civici è legittimo solo in presenza di grave violazione.
In questa ottica è necessario considerare sia l’elemento soggettivo che quello oggettivo del fatto commesso, verificando la proporzionalità tra la condotta contestata al dipendente e la sanzione irrogata dall’azienda.
Nella specifica vicenda, sottoposta all’esame dei giudici, una commessa è stata licenziata a seguito di contestazione disciplinare relativa alla diffusione, tramite piattaforma social, di messaggi e commenti ritenuti offensivi attinenti all’azienda.
A ridimensionare l’episodio, annullando il provvedimento deciso dall’azienda, provvedono i giudici d’Appello, ritenendo il fatto commesso dalla lavoratrice non punibile, alla luce del regolamento interno e del contratto collettivo, con sanzione espulsiva, ma unicamente con sanzione conservativa.
In particolare, i giudici d’Appello valutano il breve video postato dalla lavoratrice sulla piattaforma social ‘TikTok’, al rientro per il turno pomeridiano, come privo di contenuto denigratorio nei confronti del datore di lavoro, contenente sì espressioni inurbane (“rottura di palle” e simili), ma abbastanza colloquiali, e che esprimevano semplicemente noia e insoddisfazione per la generale attività lavorativa, senza disprezzo per l’azienda, elemento, questo, su cui si erano invece fondate la contestazione disciplinare prima e la sanzione espulsiva poi.
Questa valutazione è condivisa appieno dai magistrati di Cassazione, per i quali, se è vero che costituisce illecito disciplinare la violazione da parte del lavoratore dell’obbligo di tenere una condotta conforme ai civici doveri, è altrettanto vero che nella vicenda in esame è emersa la non gravità della condotta tenuta dalla lavoratrice, concretizzatasi nella pubblicazione di un breve video di pochi minuti diretto a palesare la noia, la stanchezza e l’insofferenza avvertite durante la settimana lavorativa.
Questo giudizio di non elevata gravità non muta a voler ritenere che il video sia stato realizzato durante l’attività lavorativa, o, meglio, immediatamente dopo la ‘pausa pranzo’, in quanto tale comportamento sarebbe eventualmente riconducibile, precisano i giudici, all’ipotesi del ritardo nell’inizio della prestazione lavorativa, sanzionato dal contratto collettivo con la multa.

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